Sudafrica. Se fossi una maga, direi che tornare per la terza volta in un paese ha un sapore destinico. Ma siccome il destino esiste solo in quanto noi ne disponiamo, per me tornare ancora in Sudafrica è ed è stato di nuovo tornare a casa.
Questa volta un’avventura in solitaria nel paese per certi aspetti meno africano dell’Africa meridionale, dunque occidentale e africano, bianco e nero, povero e ricco, cittadino e selvaggio. Si può scegliere e cercare e mettere insieme sapientemente, itinerari classici e città, incontri con le persone del posto e vita selvaggia nel bush. Ed è quello che ho fatto io in cinque settimane, seguendo il mio cuore, direi ormai con certezza, Soultravelling.
Soultravelling zaino in spalla o in auto o sui mezzi pubblici ufficiali o su quelli dei neri, coi neri. Non voglio anticipare qui delle conclusioni, ma il risultato è stato vivere il paese, le persone, i luoghi. Non è far turismo ed è qualcosa di più del viaggiare. Credo.
Arrivo a Johannesburg, la città del Sudafrica che fa un po’ paura se leggi sulle guide, ma anche se ci abiti. Vedi filo spinato sui muri alti di recinzione delle case e assumere una guardia privata a protezione tua e delle tue cose è la normalità, gli anti furti sono pressoché inutili o superati.
Quindi da una parte bisogna essere molto avveduti quando ci si muove, accompagnati da una guida o prendere un taxi. Ma ho anche imparato nelle mie permanenze successive, che non tutto quanto si dice e si scrive va preso alla lettera: Jo’burg è molto cambiata dai mondiali di calcio 2010, i servizi pubblici sono anche molto efficienti. Penso ad esempio al Gautrain, un treno velocissimo e sicuro che collega Sandton, aree di uffici, centri commerciali all’hub per eccellenza del Sudafrica, l’aeroporto internazionale Tambo. Anche da un punto di vista del portafoglio è sicuramente meno caro di un taxi. Quindi assolutamente consigliato.
Sono tornata a Soweto, la township di Johannesburg e del Sudafrica per eccellenza, ma l’esperienza è stata molto diversa dalla prima volta, volutamente molto diversa. Ve la racconterà con dovizia di particolari in uno dei prossimi post: qui vi dico solo che l’obiettivo di tutto questo mio viaggio era stare coi locali, provare anche se per il poco tempo a disposizione, a vivere come loro per farmi un’idea un po’ più autentica del Sud Africa, dei rapporti tra bianchi e neri, se nella sostanza esiste ancora l’apartheid e che forme ha. Ho visitato l’Apartheid Museum, che sicuramente è un passaggio obbligato per capire la storia di questo mondo e di questo paese, per capirne l’evoluzione.
Mi sono poi trasferita nel KwaZulu-Natal, che è una delle regioni che amo di più del Sudafrica e nella quale sono stata per quasi due settimane, un crocevia, al confine tra Mozambico e Swaziland: a tratti turistica, ma complessivamente splendida e variegata, scenari naturali magnifici. La savana dell’Hluhluwe-Imfolozi Park, per me Roots of Heaven, l’Oceano Indiano dove a seconda delle stagioni puoi fare incontri sorprendenti, tartarughe marine o megattere (le balene giocherellone di cui avevo parlato e visto alle Azzorre), gli Zulu, una delle 13 etnie più popolose del Sudafrica, e più sotto scacco negli anni dell’apartheid, il parco dell’ISimangaliso Wetland Park, Patrimonio dell’Umanità, che si estende per 220 chilometri tra S. Lucia e Kosy Bay al confine con il Mozambico, all’altra estremità del parco.
Ho lasciato alle spalle il KwaZulu-Natal, passando per Durban, città in grande crescita economica e dalle grandi e fresche energie.
Ho fatto una purtroppo breve, ma dovuta tappa nel Drakensberg, le montagne africane dalla cima piatta, al confine con il Lesotho, paese indipendente, geograficamente all’interno del Sud Africa. Drakensberg in lingua zulù significa Montagne dei Draghi, per noi italiani, soprattutto del Nord, abituati alle nostre puntute Alpi, è una rivelazione ed un’emozione speciale.
Ho proseguito verso sud.
La mia tappa successiva è stata Mthatha o Umtata come si chiamava in precedenza: era durante l’apartheid la capitale del Transkei, l’homeland per eccellenza del Sudafrica. È qui, in quest’area che Mandela è nato e ha trascorso la sua infanzia.
Una visita da fare è quella al Nelson Mandela Museum, che mi ha colpito molto: più che per gli aspetti intimistici che erano ben più forti alla casa di Mandela in Soweto, per gli aspetti politici. È stato interessante vedere la storia del African National Congress (ANC), l’organizzazione poi partito, che grazie a Mandela e altri combattenti, dopo lunghi anni di lotta ha decretato la fine, per lo meno formale, della segregazione razziale tra bianchi e neri.
Certo qualche domanda sorge spontanea se si pensa a come un partito nato come puro ed in prima linea, sia diventato oggi uno dei partiti più corrotti al mondo. Perdita di valori? Appiattimento dopo il raggiungimento di una maggiore pace sociale? E il riconoscimento di diritti fondamentali e portanti ai cittadini neri, la stra-maggioranza del Paese?
Ma quello che forse mi è saltato agli occhi, camminando per la strada è che Mthatha è forse la città del Sudafrica più nera: insomma un conto le comunità, i villaggi neri (ne ho visti tanti), ma una città nera è un’altra cosa! Girando per le strade ho incontrato solo persone di colore, io ero la macchia bianca, molto evidente certo, ma non mi sono sentita mai a disagio, tanto meno in pericolo. Destavo una certa qual curiosità, questo sì.
Dall’area di servizio di Mthatha, sono stata accompagnata a Bulungula, la comunità Zulu sulla Wild Coast dove ho trascorso qualche giorno in un ambiente culturale e di integrazione del tutto inaspettato, in A Bulungula con gli Xhosa, parlo della mia esperienza incredibile.
Al ritorno ho preso un bus notturno, che dopo parecchie ore di viaggio, mi ha portato ancora più a sud a Knyasna, nel Western Cape, ormai vicina a Cape Town. Lì ero un po’ stanca, ero nella mia terza settimana di viaggio e mi sono persa la bellezze di quei luoghi, che rimando al mio prossimo viaggio.
Mi sono invece diretta verso l’interno questa volta, a Graaff-Reinet nel Cambeboo National Park, nel Karoo, per ammirare la strabiliante ed indimenticabile Valley of Desolation. E poi una chicca Nieu Bethesda, la città degli artisti e la Owl House, dall’idea dell’artista Helen Martin.
Sono tornata sulla costa nel Western Cape. A De Hoop Nature Reserve, Hermanus. Ho potuto osservare la Southern Right Whale, la regina dei mari, la balena franca australe.
Sono arrivata a Cape Town, la città più internazionale e meno africana dell’Africa. Bella, attraente e si staglia in mezzo a delle bellezze naturali uniche. Difetto: vuole emulare la Vecchia Europa, essere trendy: cerca ma non riesce e perde, a mio umilissimo parere, un po’ della sua originalità. Questo è l’editoriale di tutto il mio viaggio in Sudafrica. Spero che la mia storia ed il paese vi abbia ammaliato.